mercoledì 26 marzo 2014

L'equivoco.

L'equivoco.

(Shana)

Ebbene, in questo periodo sto scrivendo un romanzo. Sì, ci sto provando, anche essendo ben consapevole che nessuno lo pubblicherà, perchè non ho le amicizie giuste. Ma chissenefrega. Lo scrivo comunque. E ieri, rileggendo quello che avevo scritto, c'era un capitolo che non mi convinceva, perchè stonava con tutto il resto. E così ho deciso di tagliarlo e di pubblicarlo qui, sul blog. Spero che vi piaccia. Il capitolo in questione si chiama "L'equivoco". 

   Una sera me ne andai insieme a Gianna, la mia unica amica dell’università, in discoteca. Avevamo voglia di divertirci, e chissà, magari di farci rimorchiare. Ma Gianna non era presa in considerazione da nessuno. Tutta colpa di quei vestiti che indossava, così poco attraenti. Gianna aveva un sacco di roba da mostrare, a cominciare dalle tette, che però nascondeva sempre sotto dei felponi maschili. E poi non metteva mai una minigonna, sempre i soliti jeans e le solite scarpacce da ginnastica. E chiaramente, quella sera, nessuno tentò di rimorchiarla. Io invece, che indossavo un vestitino nero così corto, che praticamente mi si vedeva il perizoma, fui abbordata da cinque bei maschietti, a cui dovetti negarmi, perché non mi andava di lasciare Gianna da sola. O si rimorchiava insieme o niente, mi dissi. Ma a quanto pare, nessuno era interessato a Gianna, la quale si intristì non poco.
- Sai qual è il tuo problema? – le dissi. – Sono questi vestiti. Ce l’avessi io le tette che hai tu, le metterei ben in mostra.
   Ad un certo punto venne verso di noi uno stallone da monta tutto muscoli che mi porse una rosa, e disse che quella rosa era per la più bella ragazza della discoteca. Gianna, a quel punto, sbuffò e mi disse che sarebbe tornata a casa.
- No aspetta! – le dissi. – Vengo con te.
- No, non devi – sembrava seriamente indispettita. – Goditi lo stallone. Mi sa che dovrò comprarmi un vibratore.
   Così Gianna se ne andò via, e io rimasi in compagnia dello stallone, che per inciso si chiamava Armando. Una mezz’ora dopo eravamo a casa sua, e mi teneva le cosce aperte con entrambe le mani e mi scopava con una foga fuori dal comune, come un professionista, come uno che faceva quelle cose per mestiere. Un trombatore di professione, non so se mi spiego. Sentivo il suo grosso cazzo dentro il mio corpo, vivo, pulsante, e intanto mi diceva un sacco di cose zozze, tipo che io ero una maiala, una ninfomane, una pompinara. Alla fine fece uscire il cazzo dalla vagina e iniziò a sborrarmi sulla pancia. 
   Ci acquietammo sul letto, e io gli accarezzai gli addominali scolpiti, e gli guardavo l’attrezzo. Glielo presi in mano e glielo massaggiai, e nel giro di qualche minuto ritornò oscenamente dritto. Mi guardai intorno, e per la prima volta feci caso all’ambiente in cui mi trovavo. Non l’avevo notato, ma la casa di Armando era davvero bella, per quanto piena di confusione. Era chiaro che viveva da solo; una donna non gli avrebbe mai permesso di stare in quel modo, con i calzini appallottolati sul pavimento, le mutande abbandonate sulla poltrona, lattine di Coca vuote sul televisore. Vidi anche il mio perizoma; me l’aveva strappato via con furore, e lo aveva lanciato dall’altra parte della camera da letto. E adesso era lì, in un angolino, appallottolato insieme ad un paio di calzini gettati lì chissà da quando.
- Accidenti, sei davvero bravo a fare l’amore – dissi guardando la punta del suo cazzo duro che stringevo in mano. – D’altronde, con questa trave che ti ritrovi!
- Il cazzo non c’entra niente – rispose. – Vuoi davvero sapere perché sono così bravo?
- Sì, dai. Dimmelo.
- Te lo dico solo se mi fai un pompino.
- Adesso?
- Sì, adesso.
- Va bene.
   Avvicinai la bocca al suo attrezzo e tirai fuori la lingua, leccandolo dalla base fino a salire su, verso il frenulo, sul quale mi soffermai molto, baciandoglielo con amore. Poi lo accolsi tra le labbra e lui mi disse il motivo del perché era così bravo a letto. Mi disse che era un pornoattore e che aveva cominciato con i film gay, però poi aveva chiuso con quel genere, e ora si dedicava soltanto alle pellicole etero. Mi disse che lavorava soprattutto all’estero, e mentre mi raccontava quelle cose non smettevo mai di spompinarlo, come un’ingorda, e lui mi disse che ero davvero brava a fare pompini, e che avrei dovuto provare anche io la carriera nel mondo del porno. E mentre me lo diceva mi riempì la bocca col suo seme. Cazzo, quanto seme! Mi disse che se volevo, poteva mettermi in contatto con una persona che conosceva, che faceva i casting per le case di produzione più importanti. Poi Armando scese dal letto e andò verso il bagno, dicendomi che poteva chiamarlo anche subito. Ero troppo esausta per rispondergli; Armando era davvero un treno quando faceva l’amore, quindi ero distrutta. Però l’idea non mi dispiaceva. Poi ritornò in camera da letto e intanto continuava a dirmi che io avevo tutte le carte in regola per fare quelle cose lì.
- Fammi vedere il culo – mi disse.
- Cosa? – non so per quale motivo, ma mi sembrò una richiesta molto strana. Dal momento che ero nuda, non sarebbe dovuta essere tale, però mi sembrò strana perché era come se volesse vedere se effettivamente avevo le qualità per fare dei film porno.
- Sì, fammelo vedere. Girati.
   Così mi misi a gattoni sul letto, con il culo rivolto verso di lui, le natiche aperte, quasi come se glielo stessi offrendo. Non disse niente e aspettai, e dopo un po’ sentii le sue mani che me lo accarezzavano e poi me lo colpì con uno schiaffo.
- Notevole – disse. – Davvero notevole. Dai, dammi il tuo numero che ti faccio parlare con uno che fa i casting.
   Annotò il mio numero sul suo telefono e a quel punto prese il portafogli dal comò e mi lanciò, devo dire con un po’ di disprezzo, un mazzetto di venti euro addosso.
- Te li sei meritati – mi disse.
- Non capisco – dissi prendendo le banconote in mano.
- Ma come, vuoi dire che non sei una escort?
- Cosa? No! Ma cosa dici!
- Scusa, io credevo che fossi una escort. Insomma, voglio dire, vestita in quel modo, in discoteca ti avevo scambiato per una puttana.
   A quel punto contai le banconote, ed erano cento euro in tutto, e pensai subito che potevano farmi comodo, e allora stetti al gioco.
- Beh, in realtà sì, sono una puttana, ma questo non è il mio solito cachet. Dovresti darmene altri cento.
- Altri cento! Accidenti come sei cara.
- Non dimenticarti che ti ho fatto venire due volte.
- Sì sì, d’accordo. Eccoti gli altri cento.    

Fine.


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